La pittura su tavola era già in uso presso gli antichi romani e in epoca bizantina ma si diffonde nel Trecento in tutta Europa. Le tavolette lignee si diffondono inizialmente all'interno di spazi ecclesiastici di ordine francescano o domenicano e, solo successivamente, trovano spazio anche nelle grandi cattedrali. Vengono realizzate tavolette lignee di piccole e grandi dimensioni, crocifissi e pale d'altare (le dimensioni delle tavole sono proporzionali alla visibilità all'interno della chiesa).
Quando le pale d'altare si sviluppano in diversi comparti racchiusi in cornici si parla di polittico: nel caso di due comparti si parla di dittico, nel caso di tre comparti si parla di trittico; in un polittico, nella parte centrale, generalmente, si trova la figura della Vergine mentre lateralmente si trova, spesso, l'immagine dei santi.
Il legno utilizzato per la pittura su tavola deve rispettare caratteristiche particolari quali: la resistenza alle deformazioni nel tempo, l'assenza di alte quantità di tannino e l'assenza di nodi lignei: i legni che rispettano meglio queste caratteristiche sono il pioppo in Italia e la quercia nel Nord dell'Europa. Il legno grezzo privo di nodi veniva ridotto in tavolette che a loro volta venivano spianate.
La dimensione delle tavolette lignee così spianate difficilmente esaudisce la necessità pittorica dell'artista, quasi sempre è necessario creare tasselli a incastro, perni di legno e un sistema di fissaggio con chiodi, colla e gesso per ottere una struttura reticolare di travi che supporti la dimensione raggiunta e sopporti gli spostamenti. La lavorazione ad incastri viene accuratamente posta sul retro della tavola per non essere visibile, sulla parte frontale, invece, venivano applicate delle striscioline di tela di lino o pergamena sulle connessioni fra le assi, in questo modo la superficie viene uniformata.
Il legno lavorato, spianato e assemblato potrebbe essere direttamente dipinto solamente da mani esperte: la superficie inusuale e quasi repulsiva costituirebbe un ostacolo per le mani inesperte. La preparazione sufficiente ad applicare agevolmente i colori è costituita da colla calda o da olio di lino misto a bianco di titanio. Per una preparazione solida e duratura della tavola si deve procedere ad eseguire un trattamento di preparazione pittorica detta imprimitura.
L'imprimitura consiste nell'applicazione di gesso (gesso di Bologna) e colla (colla di coniglio) che una volta asciutti vengono lisciati accuratamente. Lo strato di gesso e colla si stende con un pennello grande dalle setole piatte, le pennellate uniformi devono spianare gli ispessimenti e le irregolarità della mestica. Allo strato iniziale si sovrappongono ad altri strati per ottenere una superficie compatta, levigata ma soprattutto molto resistente.
La pittura della tavola può essere eseguita direttamente sull'imprimitura anche se spesso gli artisti preferiscono togliere assorbenza e porosità dipingendo uno strato di colore neutro come base per il proprio disegno e dipinto, si possono addirittura mettere delle piccole dosi di colore in polvere nel preparato mentre lo si prepara a bagnomaria.
I colori utilizzati per la pittura su tavola nel Duecento sono colori a tempera mescolati con i leganti naturali rosso d'uovo, latte di fico, bava di lumaca.
Nel caso di doratura della tavoletta, la prima fase della lavorazione pittorica, era la doratura usata per i fondi (il fondo oro), gli ornamenti e le cornici, la doratura era permessa dall'applicazione di sottilissime sfoglie d'oro su una base preparata a mordente o a bolo.
Il disegno, nel Trecento, assunse maggiore importanza (rispetto alle campiture piatte del Duecento) e la varietà di tonalità cromatiche divenne importante per poter esprimere al meglio i passaggi nei chiaroscri presenti nel volto, nelle pieghe delle vesti...
Conosci la differenza tra dittico e il trittico?