La calcite spatica viene ricavata da ciottoli coperti da una incrostazione di colore rosso scuro.
All'interno di questi ciottoli si trovano cristalli dalla forma conica o romboidale, il cui colore varia dal bianco al giallo paglierino.
Quando queste cristallizzazioni vengono percosse, si disgregano in granelli brillanti che, una volta pestati e setacciati tre volte, producono tre tipi di polvere con diversa finezza.
Queste polveri venivano mescolate agli strati dell’intonaco usato per la pittura murale nell’antica Roma.

Secondo il professor Venturini Papari1, che ha analizzato con attenzione gli affreschi di Pompei, uno dei motivi per cui l’intonaco di quei dipinti diventava particolarmente duro e resistente, simile ad una lastra di marmo, era proprio l’aggiunta di calcite spatica polverizzata alla miscela di calce utilizzata per prepararlo.
Anche in passato si scrisse di vene simili all’alabastro trasparente, che non sono né marmo né gesso ma hanno una natura intermedia che ridotte in polvere e mescolate alla calce al posto della sabbia, conferivano all’intonaco un aspetto scintillante simile al marmo lucente. 
A supporto di questa ipotesi, si può citare Vitruvio, che menziona certe zolle contenenti particelle brillanti simili a sale, le quali, una volta frantumate e macinate, erano molto utilizzate per intonaci e cornici decorative.

  1. Venturini Papari, La pittura ad encausto al tempo di Augusto, Roma, 1928.

Lo scuoti e ottieni tre gradazioni di polveri diverse, di che cosa parlo?